venerdì 19 marzo 2010

Tasmania Australia _Roberto Chilosi_


Tasmania: il valtarese Roberto Chilosi ci racconta, con immagini e ricordi, la sua esperienza estrema, la sua sfida con se stesso e con le forze della natura, in canoa e in gommone, lungo il Franklin River; il fiume che ha una triste fama, per l'altissimo numero di canoisti inghiottiti, per sempre, dalle sue acque .

TASMANIA
Testo e foto di Roberto Chilosi
THUNDERUSH, Hobart, Tasmania, novembre 2001
Piove da due giorni, da ieri sera il fiume e’ salito di almeno 2 metri, stamattina abbiamo fatto fatica ad imbarcarci perchè il fiume era nel bosco.
Stanotte ci siamo inzuppati, l’umore e’ nero e non siamo neanche a metà della gola, stiamo entrando nel punto più profondo, nel punto di non ritorno, tutto intorno le rocce strapiombanti e la foresta impenetrabile, lussureggiante, migliaia di cascatelle che precipitano dai bordi verso il fiume che e’ marrone, che e’ sempre più grosso.

Quanto può salire ancora?
Josh dice anche 15 metri.
Stiamo per arrivare a Thunderush, dopo che abbiamo dormito in prossimità di Coruscades il cui trasbordo ieri sera ci ha impegnato per più di due ore, in mezzo al fango, in mezzo alle sanguisughe, col fiume che continuamente saliva, la pioggia incessante, a tratti la grandine e un freddo tremendo, considerato il nostro abbigliamento.


Un solo pensiero positivo mi rinfranca in questo momento: meno male che siamo solo in quattro e meno male che Stefano e Monica non sono venuti.
Sarebbe stato un grosso problema, considerato il loro carattere, noi siamo più preparati a queste emergenze, a queste situazioni assurde dove ti devi conquistare ogni metro in avanti e ogni secondo successivo della tua vita.

Ma chi siamo?
Josh Waterson, 22 anni, australiano, la nostra guida sul Franklyn River, dove ci troviamo, fiume che lui, con clienti, ha già disceso 8 volte, ottima guida rafting, canoista e persona eccezionale.
Matteo Galimberti, 26 anni di Monza, prima esperienza internazionale, ottimo canoista, persona eccezionale e positiva.
Donatella Gabbanini, la mia compagna, 42 anni, unica donna italiana ad aver pagaiato nei 5 continenti, molto forte fisicamente e psicologicamente.
Io, Roberto Chilosi 35 anni, ottimo canoista e grande esperienza internazionale.

Abbiamo due canoe, Matteo ed io, ed un gommone, non auto svuotante con tutto il materiale (cibo, stoviglie, vestiario asciutto, tende) caricato sopra.
Il gommone condotto da Josh e Donatella pesa quasi 500 kg, che raddoppiano a fine rapida quando si riempie d’acqua, prima che uno di loro due lo svuoti col secchio.
Siamo sul Franklyn River, uno dei fiumi più belli ed isolati della terra, ma anche uno dei più mortalmente insidiosi a dispetto delle sue relative difficoltà tecniche.

Abbiamo deciso di scenderlo in autosufficienza, in 10 gg, dalla confluenza con il Collingwood River a Sir John Falls, già sul Gordon River, dove verremo recuperati da un imbarcazione a motore che ci eviterà gli ultimi 80 km di acqua piatta per raggiungere Strahan, sull’oceano Pacifico.
Siamo in navigazione da 5 giorni anche se adesso siamo alla gola più difficile, la Great Ravine.
Speravamo nella clemenza del tempo, almeno in questo tratto di fiume, ma come era prevedibile e’ iniziato a piovere a dirotto la sera prima dell’ingresso nella gola.

I primi tre giorni sono passati bene, il livello del fiume alto ma non esagerato, il tempo discreto variabile, anche se freddo.
Il fiume e’ stupendo, soprattutto il contorno paesaggistico e’ da togliere il respiro e sono frequenti gli incontri con gli ornitorinchi e i diavoli della Tasmania che, a dispetto della loro fama, sono timidissimi e fuggono appena avvistati.
La foresta e’ verdissima, impenetrabile, umida, in alcuni punti crea una volta verde che forma come una galleria entro cui scorre il fiume.

Gli odori sono forti, dato che e’ umidissima: l’odore di torba, di resina, l’odore inconfondibile della foresta che ti prende lo stomaco e ti riempie le nari.
Il principe di questo fiume, la cui area e’ stata nominata Patrimonio dell’Umanita’ dall’UNESCO, e’ l’Houn Pine, l’organismo vivente più longevo della terra, un pino alto, di forma più simile al cipresso che ad un classico pino, caratterizzato dall’ estrema durezza e resinosità del suo tronco, cosa che lo ha reso ideale, ai primi del novecento, per la costruzione di imbarcazioni marine, data l’immarcesciblità del suo legno, e che ne ha quasi causato la sua estinzione.
Per quasi 50 anni, squadre di “piner”, come venivano chiamati i taglialegna, risalivano il fiume da Strahan, remando controcorrente e trascinando da riva, per mezzo di funi, le pesanti barche fino a News Holland Cascades, proseguendo poi faticosamente nella foresta, tagliando i pini e lasciando che fosse poi la corrente a trascinarli a valle.

Ma non tutti i pini tagliati hanno raggiunto la loro meta e molti sono ancora li’, di traverso nel fiume semisommersi, probabilmente incastrati eternamente nelle rapide, pericoli mortali per i canoisti e rafter.
Questo fiume, a dispetto della sua bellezza, ha un triste primato: e’ probabilmente il fiume con il maggior numero di morti per sport acquatici


Ma le sue insidie non sono solo nell’acqua: lasciare il fiume comporta un trekking nella foresta di molti giorni e non ci sono sentieri tracciati.
Numerosi sono stati i casi di dispersi nel tentativo di raggiungere la strada e poi morti di fame e stenti.
Bisogna avvicinarsi a questo fiume con molta cautela e prudenza, sapendo a cosa si potrebbe andare incontro, considerata soprattutto la variabilità delle condizioni atmosferiche e le piene improvvise.

Quello che sta accadendo ora.
Great Ravine, la gola, e‘ lunga 7 km, durante i quali, col livello alto dell’acqua, le rapide non si possono percorrere e i trasbordi non si possono effettuare sul livello del fiume, ma bisogna aggirarle dall’alto, compiendo delle vere e proprie scivolosissime scalate, lungo le pareti della gola e nella foresta soprastante.
Ieri abbiamo avuto i primi due assaggi, il primo terribile, condito dalla grandine, The Churn, l’ingresso della gola: una serie di salti, impraticabili che ci hanno costretto ad un pericoloso e sfinente trasbordo sulla sinistra orografica.

In più mentre facevamo percorrere al gommone imbragato il primo salto, la corda si e’ incastrata e abbiamo perso circa un ‘ora per recuperarlo.
Abbiamo dovuto calare Josh dall’alto, improvvisando un imbraco, che poi e’ saltato sul gommone e ha tagliato la fune imprigionata sotto una roccia.
Non si sta in piedi, le rocce sono scivolosissime e non abbiamo l’abbigliamento adatto; pensavamo che in Australia facesse caldo, e in Tasmania pure.
Io ho la giacca leggera, la muta corta e i sandali, Matteo non ha le scarpe.

The Churn ci ha impegnato severamente: trovare un ancoraggio per i piedi, sotto la grandine, sulle rocce a strapiombo, per trattenere la corda a cui avevamo legato il gommone e’ stato veramente difficile, una di quelle esperienze belle da raccontare, ma assolutamente terribili mentre le stai vivendo, soprattutto perchè era la prima vera difficoltà che incontravamo e il tuo cervello, prima ancora che il tuo corpo, ci mette un po’ a sintonizzarsi in modalità “sopravvivenza”.

E’ sempre così all’inizio dei problemi, ti stufi, vorresti già aver aggirato l’ostacolo, vorresti che ci fosse il sole, il caldo, fatichi anche a trasportare un sacchetto di un kilo su per la montagna, cerchi di accelerare i tempi e ti sfinisci perchè, come ieri, la realtà e’ ben diversa e devi risparmiare le energie, devi stare attento a non farti male, hai anche paura, l’adrenalina quindi inizia a circolare nel tuo sangue, infondendoti una nuova carica.

Allora sei appagato da ogni passo in più che riesci a compiere, trasporti su e giu’ per la montagna dei carichi mostruosi, razionalizzi i movimenti, perdi il senso del tempo, l’importante non diventa il quanto ma il come.
E, in quei momenti, speri di dover pensare solo a te stesso perchè ce ne e’ già abbastanza, perchè temi già a sufficienza per la tua incolumita’.

Io invece devo pensare a Donatella che e’ la madre di mia figlia, per la quale mi sento responsabile, anche se l’idea di venire su questo fiume, un “River God” e’ stata sua.
Ieri sulle rocce scivolose, considerate le condizione delle sue ginocchia pluri operate, era in difficoltà e non le abbiamo permesso di portare dei carichi.
Sono un po’ agitato anche per Matteo che e’ al suo primo viaggio, che si sta prodigando e lavorando per 4 persone, ma che a volte e’ troppo irruento, non vorrei gli capitasse qualcosa.

Per aggirare circa cento metri di fiume siamo saliti di almeno 150 effettuato un traverso di altri 100 e poi ci siamo calati fino a livello dell’acqua.
Almeno 5 viaggi a testa, immersi letteralmente nelle felci, alcune alte anche 10 mt, molto simili a delle palme, sotto le cui foglie regnano incontrastate le regine della foresta: le sanguisughe, onnipresenti, appiccicose, subdole.
Anellidi infami e traditori, indolori, ma inesorabili, vera calamità per le mie gambe nude e per ogni porzione scoperta della nostra pelle.

Te le trovi appiccicate addosso già gonfie del tuo sangue, senza aver nemmeno sentito la puntura; le stacchi dalla gamba e ti si attaccano al dito, le stacchi con un altro dito e si attaccano a quello, l’unica soluzione e’ bruciarle, ma non puoi stare tutto il giorno con l’accendino in mano e poi piove.
La seconda parte di The Churn era praticabile in canoa e io l’ho percorsa.
Poi un tratto piatto di circa 1 km, poi Coruscades che subito ci e’ sembrata impraticabile, dove subito abbiamo anche capito che il trasbordo sarebbe stato inumano e che avremmo dovuto sgonfiare il gommone ripiegarlo, portarlo a mano e rigonfiarlo, per passare oltre. Delirio di fatica e bestemmie.

Abbiamo deciso di fare il campo sopra la rapida, molto al di sopra del livello del fiume però, perchè l’acqua saliva.
Donatella ha riposato poco, e’ agitata, anche se ieri sera, l’aria, nonostante tutto era abbastanza rilassata: abbiamo ancora un po’ di scorta di vino rosso che in questi casi aiuta a veder tutto più roseo…
Anch’io ho dormito poco, anche perchè il frastuono della pioggia sul telo e il boato della rapida sottostante era un concerto di musica rock.
Il momento peggiore della giornata, in queste giornate fredde e piovose, e’ comunque il mattino, quando devi rimetterti la muta bagnata del giorno prima e impieghi 10 lunghissimi minuti per entrare in temperatura, ammesso e non concesso di riuscirci.


Impieghi 1 ora per riporre tutto dentro le sacche stagne che DEVONO essere ben chiuse, pena vivere zuppi tutto il viaggio, e la successiva, razionale e sicura legatura delle stesse sul gommone, cosa ancora più importante che potrebbe causare, in caso di ribaltamento, la perdita di tutto il materiale.
Ergo devi essere concentrato anche se sei stanco, anche se sei agitato, anche se sei stufo della pioggia.
Queste cose banali spesso costituiscono il sottile filo che separa un difficile viaggio da una tragedia.
Josh e Donatella si sono imbarcati a valle dell’ultimo saltino, mentre io li fotografavo con lo sfondo della rapida imponente alle loro spalle; io ne ho percorsa un tratto, imbarcandomi proprio sopra il saltino dove sono morti molti canoisti e rafter, perchè con l’acqua bassa, alla base del salto, e’ incastrato e poco visibile un enorme tronco di Huon Pine che crea un pericoloso colino semi sommerso.


Per oggi ci siamo imposti di cercare di uscire dalla gola, abbiamo ancora Thunderush, The Coulderon, The Pigs Through e News Holland Cascades, in tutto circa 5km.
Thunderush.
Che nome: un nome un programma, non me la scorderò mai.
Arriviamo poco dopo esserci imbarcati e subito ci accorgiamo che la rapida e’ obbligata, non si può trasbordare e diluvia sempre più forte, con un concerto terribile di tuoni e fulmini.
Non ci sono ripari e il fiume sale, sale così in fretta che la prima parte che abbiamo trasbordato facendo scivolare il gommone sulla roccia, adesso e’ praticabile in canoa


Non possiamo tornare indietro.
Non possiamo salire nella foresta da questo lato del fiume (siamo a sinistra).
A un primo sguardo, non possiamo nemmeno praticare la rapida, lunghissima, in curva, con una pendenza esagerata, un grosso buco a destra, un enorme e vorace sifone a sinistra, poi acqua bianca in pendenza per centinaia di metri, poi, così ci dice Josh, solo poca acqua piatta e poi The Coulderon, impraticabile e pericolosissimo.
Siamo bloccati e continua a piovere.
Donatella piange.
Sono scioccato perchè e’ la prima volta che succede, non l’avevo mai vista piangere, in nessuna occasione, e’ una donna forte e volitiva che tradisce poche emozioni

Matteo invece e’ con Josh e stanno cercando di capire il da farsi, stanno cercando di sporgersi il più possibile per vedere la rapida.
Io sono diviso tra la ricerca delle soluzioni possibili e il consolare Donatella, forse ho paura, forse no, sicuramente non per me però.
A lei non deve capitare nulla e io in ogni caso so che in canoa la rapida la posso fare e se dovessimo farla in gommone, la mia abilità come nuotatore, dovessimo ribaltarci, mi porterebbe comunque a riva.
Però ho paura per lei, e ho paura anche per Matteo perchè anche se in canoa e’ davvero forte, non so come si comporterà in una situazione del genere.


Cerco comunque di dimostrarmi calmo, anche se sono molto agitato perchè alternative non ne abbiamo.
Ci sarebbe un passaggio nella foresta, sul lato opposto del fiume, ma come ci arriviamo sul lato opposto?
Sono le 10 del mattino ma e’ buio come se fosse notte, sembra che gli elementi si accaniscono contro di noi.
Esistono veramente poche alternative: o aspettiamo, anche qualche giorno, che il fiume scenda o facciamo la rapida.


La prima soluzione, anche se potrebbe sembrare sensata, e’ la peggiore perchè non ci sono spiazzi dove poter montare il campo, non c’e’ nulla a parte la roccia verticale e, se il fiume dovesse salire ancora, rimarremmo intrappolati.
Dobbiamo fare la rapida, ma decidiamo di caricare le due canoe sul gommone perchè Josh e Donatella da soli non riuscirebbero mai a fare la manovra di ingresso nella grande curva a destra e, se devo aiutare Donatella riuscirò a farlo meglio se sono sul gommone con lei.

Non ricordo quello che ci diciamo: lei ha paura di morire, vuole tornare a vedere nostra figlia, la Chiara, forse l’unica cosa che ci tiene uniti, non vuole fare la rapida, ma alla fine si convince da sola: fermarsi qui e’ troppo pericoloso.
La manovra di ingresso e’ difficilissima, dobbiamo traghettare per quanto possibile in retro, cercare di guadagnare il centro del fiume poi sterzare velocemente a destra per disporre il gommone con la punta già verso l’uscita della curva (manovra in negativo, per i più esperti), poi pagaiare in avanti a tutta forza, sperando di evitare l’enorme sifone e di riuscire a sfondare l’enorme buco alla base del primo salto.

E’ una delle rapide più impressionanti che abbia mai visto, e pensare che con un livello d’acqua basso, viene percorsa quasi senza problemi.
Tutto molto facile a dirsi, ma la velocità dell’acqua e’ tale, e la parete con sifone così vicina, che penso che sarà impossibile non finirci dentro.
Il traghetto in retro, poi, col gommone carico e’ pura utopia.
Confido però nella nostra tecnica e forza della disperazione.
Leghiamo le canoe e ripassiamo a memoria le manovre chiave che dovremo fare e anche il cosa fare se…

Io mi occuperò di Donatella, gli altri si dovranno arrangiare da soli.
Josh, a dispetto della sua giovane eta’, ha una esperienza e una tranquillità invidiabili, anche se, oggi, anche lui ha dei pensieri oscuri, perchè non ha ancora detto un solo “fantastic!”, cosa che normalmente ripete continuamente.
Mimiamo la manovra di ingresso in corrente, il gommone lo guiderà Josh, io e Matteo rispettivamente primo di destra e sinistra, Donatella dietro di me.


Andiamo.
Lasciamo che la morta in cui ci siamo imbarcati, vorticosa, ci porti leggermente a monte e poi, un urlo: BACK, INDIETRO, FORZA.
Il gommone scoda, la coda si immerge, come temevo, la corrente ci spinge avanti, prima che riusciamo a guadagnare il centro del fiume e ci spinge a tutta velocità verso l’esterno della curva che invece volevamo tagliare, verso il sifone.
Josh, gira il gommone, RIGHT BACK! DESTRA INDIETRO!
Un colpo secco io e Donatella a destra indietro e Matteo a pari forza in avanti, Josh timona , la punta gira subito.

STRONG FORWARD! AVANTI A TUTTA FORZA!, ma non ci sarebbe bisogno di dirlo: pagaiamo come dei pazzi, 5, 7, 10 colpi, il gommone di traverso che si sposta solo di poco dalla traiettoria del sifone, poi guadagna velocità, ci spostiamo quel poco che basta per non venire risucchiati dentro la caverna, la coda ne lambisce l’ingresso, siamo fuori!, ma siamo di traverso e rischiamo di rimanere dentro il grosso buco alla base del salto in curva.
LEFT BACK! SINISTRA INDIETRO!
Matteo e Josh si dannano sulle pagaie, piegandole, nel tentativo di fare perno e far ruotare la punta a sinistra, mentre io e Donatella, al contrario stiamo pagaiando in avanti, con tutte le energie che abbiamo.

Ci riusciamo, cadiamo nel buco, ma di prua e col nostro peso e la velocità che abbiamo guadagnato, e che solo ora risulta, lo sfondiamo; riacquistiamo l’equilibrio, non siamo neanche a metà rapida, e subito, di nuovo, STRONG FORWARD! AVANTI A TUTTA FORZA!
Il peggio e’ passato adesso dobbiamo solo sfondare di prua i prossimi buchi, che sono enormi, ma per me e’ finito, il pericolo era la curva, siamo pieni d’acqua e non c’e’ pericolo che qualche buco/rullo possa trattenerci, il problema così pesanti sarà semmai fermarci.
Sulla soglia dell’ultimo buco il gommone parte in una improvvisa rotazione e scarroccia verso il lato opposto a quello in cui dobbiamo fermarci, a sinistra.
Ma e’ fatta.


Il tutto non e’ durato più di 30 forse 40 secondi.
Urliamo per la gioia, per lo scampato pericolo, mentre tutto intorno il diluvio continua, senza tregua, incessante, gocce d’acqua e grandine come tanti spilli che ti pungono le mani, la faccia, le gambe, ma non importa, siamo vivi, siamo insieme, siamo qui.
Lo spettacolo della rapida dietro di noi e’ monumentale, sembra quasi impossibile avercela fatta ed essere passati indenni.
Battiamo cinque, il cuore rallenta, l’esaltazione lascia comunque spazio a quello che abbiamo davanti, la morta successiva che non dobbiamo sbagliare.
Traghettiamo sulla sinistra ed entriamo in morta con buon anticipo per non rischiare, il fiume letteralmente scompare sotto di noi, The Coulderon, forse una delle rapide






Franklyn, non escluso a causa della vicinanza con Thunderush.
La rapida dove muore il protagonista di “Death of a river guide” uno stupendo libro, ambientato su questo fiume, dello scrittore tasmaniano R. Flanagan.
Ad una prima occhiata si prospetta un altro trasbordo ai confini della realta’, e non riusciamo nemmeno a capire quanto dovremo inerpicarci su per la parete prima di riuscire ad effettuare il traverso per poi scendere al fiume.
Dobbiamo capitalizzare ogni passo e non fare viaggi a vuoto, anche mentre andiamo in avanscoperta, comunque portiamo con noi del materiale.


Alcuni alberi di sandalo ostruiscono il sentiero e dobbiamo farci strada con l’accetta.
Il sentiero, se così si può chiamare, sale per circa 100 mt di dislivello in verticale e pi scende in diagonale su strapiombo fino al fiume ed e’ molto scivoloso.
Inizia il trasporto, per fortuna smette di piovere, decideremo se sgonfiare il gommone solo alla fine del trasbordo di tutto il materiale, sperando magari in un lieve calo del livello dell’acqua, che ci consentirebbe di far passare il gommone via fiume.
Prima le sacche stagne con i vestiti, poi gli ammokeen in metallo con le stoviglie, poi, terribili e scomodi, i bidoni blu della roba da mangiare.


Mentre scendiamo con gli ammokeen/latrine (sul Franklyn la cacca si fa nei pacchettini di plastica che poi, chiusi, vengono stivati in questi robusti contenitori stagni), Josh scivola, io penso che si sfracellera’ sulle rocce sottostanti, sparisce sotto di me, ha in mano la pelikan case con la sua macchina fotografica e nell’altra l’ammokeen, non ho tempo di aver paura, forse neanche lui, perchè succede tutto in un attimo, lascia la macchina fotografica e si appende ad un albero con i piedi nel vuoto, lo sento urlare e bestemmiare sotto di me.


Immediatamente approntiamo una corda per tirarlo su.
Matteo si cala e lo aiuta a risalire, la sua macchina fotografica e’ incredibilmente appesa ad un ramo metri più sotto e, per recuperarla, impiegheremo quasi un’ora.
Qualcuno lo ha voluto premiare per la sua coscienza ecologica, io forse avrei lasciato andare la latrina.
Dopo quasi tre ore tutto il materiale e’ a valle, tranne il gommone e due pagaie, non piove più, il fiume ha smesso di salire e possiamo tentare il trasbordo sulla cengia di roccia a destra.
Josh e Matteo staranno sul gommone che andrà prima calato poi guidato nella seconda parte della rapida, io e Donatella a valle, sul terrazzino di roccia che ci farà da campo stanotte, con le corde pronte a fermare gommone e occupanti in caso di problemi: se dovessero mancare la fermata rimarremmo isolati, perchè da questa gola si può uscire solo via fiume.
Predisponiamo tutto con cura: il problema più grosso sono le rocce scivolose e la potenza dell’acqua nella seconda parte della rapida.


Il gommone va fatto scivolare sulle rocce, poi calato in acqua, tenuto però imbragato ad un cordino fissato alla roccia, poi Josh e Matteo dovranno slegare il cordino e pagaiare a tutta forza verso il centro del fiume per evitare il primo salto che spinge contro una brutta nicchia a destra.
Torno a valle, e mi preparo con le corde: mi sono imbragato ad un albero con una corda da 20 metri e ne ho una in mano da 25; Donatella ne ha una in mano da 25 ed e’ saldamente piazzata con le gambe.
Josh e Matteo calano il gommone, faticando a trovare l’equilibrio sulla lastra scivolosa, fissano un cordino alla coda e lo posano in acqua.


Adesso devono fare in fretta perchè l’acqua che comunque scende dal masso riempirebbe subito il gommone rendendolo ingovernabile.
Matteo salta al volo dentro e prende la pagaia, Josh lo imita ma non riesce a liberare il cordino che si e’ incastrato in una fessura della roccia: il gommone si riempie, scompare sott’acqua in un attimo, Matteo e’ sotto fino alla cintura, Josh impugna il coltello e taglia il cordino e il gommone schizza letteralmente in avanti, verso destra, verso la nicchia.


Immediatamente entrambi si spostano sul lato destro, contro la roccia per permettere all’acqua di scorrere sotto la chiglia e non rovesciare il gommone che piano piano si muove verso valle, ora e’ libero e loro, come dei fulmini, recuperano la posizione di pagaiata e iniziano e remare verso di noi, 100 metri più a valle.
Matteo cade, ma non se ne accorge neppure perchè continua a pagaiare come se fosse ancora sul gommone, Donatella lo recupera con la corda; Josh, pagaiando a tutta forza col gommone che ruota su se stesso, riesce ad arrivare a tiro della mia corda che lo raggiunge e che subito lui fissa alla corda perimetrale del gommone stesso.


In qualche modo ce l’abbiamo fatta.
Ricomincia a piovere, la giornata e’ stata infernale, abbiamo percorso solo 2 km rispetto ai 5 previsti, ma adesso siamo tranquilli, il peggio e’ passato, le prossime rapide comunque saranno più semplici, così dice Josh


Il terrazzino su cui facciamo il campo e’ scomodissimo, piove ad intermittenza ed e’ letteralmente infestato dalle sanguisughe.
Domattina Josh se ne troverà una attaccata ai santissimi.
La mattina dopo siamo a pezzi, però siamo rinfrancati dal fatto che non piove più e che oggi dovremmo riuscire ad uscire dalla gola.
Fa un freddo terribile, la temperatura e’ sotto zero, e mettersi la muta gelata e scrocchiante dal ghiaccio non e’ un’esperienza indimenticabile.
I primi momenti in canoa, fino a che no trovi il ritmo, sono tremendi, cerchi di evitare gli spruzzi, tieni le mani alte per evitare che ti si gelino le dita, rimani contratto per cercare di produrre e mantenere un po’ di calore corporeo, ma serve a poco.
Dopo circa 1 km di rapide discrete, una bella rapida in curva con un enorme buco in mezzo che dobbiamo trasbordare col gommone sulle scivolose rocce del lato sinistro, ma nulla in confronto alla fatica di ieri.
Altre rapide poi Pigs Through e qui, invece, capiamo subito che il trasbordo sara’ terribile.
Il “Porco in Mezzo” e’ un roccione enorme che divide il fiume in due rami, dopo una serie di grosse onde e rulli che spingono, naturalmente, verso il ramo impraticabile.
In canoa e’ fattibile, anche se molto rischiosa, in gommone assolutamente no.
Il posto e’ da favola, grossi Huon contornano la rapida, e enormi felci, in mezzo ad un trionfo di muschio, piccoli rigagnoli che scendono dalle pendici della parete rocciosa fin dentro la foresta, poi erica, sandalo, un paradiso verde.
Decidiamo per il trasbordo sul lato destro, che ci impegnera’, solo per il materiale, quasi tre ore, faticose, sugli enormi e scivolosi massi scomposti e dentro la foresta.


Dalla fine della rapida però, come un miraggio: “Rock Island Bend”, una sorta di isola rocciosa in mezzo al fiume con un cappello di grossi alberi, la foto simbolo della battaglia che gli ecologisti avevano combattuto e vinto contro gli ingegneri della locale compagnia elettrica che, a metà degli anni 80, volevano costruire una diga lungo il corso del Franklyn, allagandone la gola e deturpando una delle ultime zone vergini e incontaminate della terra.
La battaglia, perchè proprio di quella si era trattato, era andata avanti per anni e aveva coinvolto migliaia di australiani gelosi del loro fiume e assolutamente coalizzati contro l’Enel locale.


Per gli australiani, da allora, il Franklyn e’ diventato “The ultimate adventure” e, dicono, almeno una volta nella vita va disceso.
E questo e’ stato anche però causa di molti degli incidenti che si sono verificati qui, perchè in molti, alcuni in maniera veramente superficiale, hanno tentato la discesa del fiume, il cui tratto navigabile e’ di 134 km, spesso rimanendo vittima dei sifoni, dei grossi rulli, dei tronchi di Huon incastrati, o anche morti di fame e freddo e i relitti dei gommoni, delle canoe e delle pagaie degli incidenti sono ancora visibili lungo il corso del fiume

In ogni caso la coscienza ecologica degli australiani e’ avanti anni luce rispetto a noi italiani: l’acqua di questo fiume, colore del the’ per la presenza di sostanze tanniche rilasciate dalle piante, si può bere senza doverla depurare, tra uno stato e un altro, sul continente australiano, esistono delle restrizioni, relativamente alla frutta e alla verdura, per evitare trasmissioni di malattie vegetali, che consistono in divieti di esportazione di vegetali freschi e, ai confini, ci sono bidoni per gettare la frutta e la verdura, cosa che tutti fanno.

La vista di Rock Island bend, però, non ci distrae dal problema più grosso in questo momento, ovvero il trasbordo del gommone senza doverlo sgonfiare.
E’ dura la vita: optiamo per legare il gommone in punta e coda con Josh che lo timonerà cercando di tenerlo verso il lato destro del fiume, fino alla soglia sull’ultimo salto, dove, speriamo riuscirà a scendere.
Io terrò la corda a monte, Matteo a valle.
Fissiamo le corde a degli alberi per avere più frizione per essere certi che le corde stesse non ci sfuggano di mano, o ce le taglino, se il gommone dovesse prendere la traiettoria verso il massone centrale.


Dobbiamo cercare di fare scendere il gommone più lento possibile per dare modo a Josh di tenerlo verso il lato destro e per essere sicuri di riuscire a fermarlo sulla soglia del salto.
Tutto riesce alla perfezione e dopo una mezz’ora siamo pronti a riprendere la navigazione, ma solo dopo aver abbondantemente fotografato Rock Island Bend.

Adesso rimane “solo” News Holland Cascades” la rapida più lunga del Franklyn.
Dovremmo fermarci ad ispezionarla perchè con questo livello, Josh dice che il buco finale e’ abbastanza pericoloso.
Dovremmo, dovrebbero soprattutto Josh e Donatella in gommone, ma basta un attimo di distrazione che perdono la morta a destra, e iniziano a scendere a vista.

I giorni successivi, 3, scorrono freddi e piovosi, benché molto interessanti dal punto di vista naturalistico, lotte notturne per difendere le nostre scorte di cibo dai procioni comprese, fino alla confluenza col placido Gordon River, al moletto di Sir John Falls, la fine del viaggio.



Siamo a pezzi, ma siamo felici, l’imbarcazione, un bi-albero condotto da una coppia di tedeschi immigrati in Tasmania 30 anni fa, arriva dopo un paio d’ore, fortunatamente molto in anticipo sull’orario prestabilito e possiamo finalmente farci una doccia, dormire su un materasso, mangiare cibo caldo.




Viaggiamo di notte verso Strahan, dove giungiamo al mattino e piove ancora, ma qui non ci bada nessuno, e’ come in Patagonia.
Mentre scarichiamo tutto il materiale dalla barca in attesa della Jeep che ci riportera’ ad Hobart, la capitale della Tasmania, un vecchio pescatore che insensibile alla pioggia e al vento sferzanti, pesca con la sua canna dal molo, età approssimativa 70/75 anni, il volto simpatico e scavato da centinaia di rughe, la pelle bruciata dal sale e dal sole, ci chiede cosa facciamo, dove andiamo, masticando tabacco e le parole.


Non possiamo neanche iniziare a parlare che, guardando verso il fiume, si incupisce, allunga il braccio verso monte e, con lo sguardo improvvisamente perso e triste ci intima “Don’t go there. Don’t go there. This river will kill you”. (Non andate la’ non andate la’, questo fiume vi ucciderà).


Avrei voluto conoscere la sua storia, sapere cosa gli aveva fatto il fiume, ma non abbiamo tempo, dobbiamo andare.
Domani avremo l’aereo per l’Italia: il sogno e’ finito, lunedì iniziamo a lavorare.
Le foto e il testo è stato tratto da http://www.valtaro.it/























1 commento:

  1. ma sono veramente meravigliose!!!! un sogno!!! io sono un tipo tranquillo... amo l'avventura...ma questa..è un po troppo... rischiosa x me.... ma se fossi un po più... giovane..Mmmmm... partirei subitoooo....

    RispondiElimina