giovedì 29 aprile 2010

Perù Roberto Chilosi

Perù Estate 2007
Immagini dal Perù
Il Perù di Roberto Chilosi



Roberto Chilosi, ci racconta, con le sue parole e le sue splendide foto, il Perù. Ovviamente, seguendo
la passione della sua vita, lo fa anche da un punto di vista molto particolare, diverso dal solito:
dalle acque dei fiumi, a bordo di una canoa, in mezzo alle rapide.


Peru’.
Un mercoledì sera.
Arequipa, sud del Perù.
Appoggiato alla testiera del letto, aspetto che arrivino le 19.00 per andare al Terminal dei bus per prendere l’Overnight che ci porterà a Nazca, poi a Pisco e Paracas.
Sto leggendo “Lo Squalo” di P. Bencheley in spagnolo (é decisamente meglio il film di Spielberg).



I muri iniziano a tremare lievemente, poi il movimento si accentua, sento i rumori dei vetri delle
finestre, i vestiti che ondeggiano sull’attaccapanni.


Immediatamente realizzo quello che sta accadendo, la mia compagna é in piedi nella stanza e pare non
accorgersi di nulla: il movimento é lieve ma costante, faccio a tempo a vestirmi, scendere le scale ed
uscire in strada, che ancora la terra trema.



Ci guardiamo con gli altri ospiti dell’albergo, il proprietario ci dice di non preoccuparci che in Perù é una cosa normale e frequente. La moglie, con in braccio un bimbo di pochi mesi, sembra meno
tranquilla.
Tutto questo mentre la terra continua a tremare.
Mentre saliamo sul bus per la notte, un poliziotto ci dice che l’epicentro é stato a Pisco e il
terremoto ha avuto un’ intensità di 7.9 gradi della scala Richter.


Ho i brividi, non sono un sismologo, ma credo che corrisponda, più o meno, ad una scossa del decimo
grado Mercalli, ovvero distruzione di case strade e ponti..
Così e’ stato, alla fine il bilancio sarà di quasi 800 morti e 200.000 senza tetto.


Noi ci fermiamo a Nazca, a 250 km dall’epicentro: non c’é luce ne’ acqua e la terra continua a tremare,
ma non ci facciamo prendere dal panico e cerchiamo di goderci comunque gli ultimi giorni di vacanza,
benché veramente affranti per la disgrazia occorsa a gente, i peruviani dei quartieri periferici più’
colpiti dal sisma che, già povera e ai limiti della soglia di sopravvivenza, si trova ora a non avere
più nemmeno una baracca dove poter passare la notte.


Il viaggio era iniziato due settimane prima da Lima, dove eravamo arrivati dopo un volo interminabile
dall’Italia, da dove, subito, avevamo preso un volo interno per Cuzco, la vecchia capitale dell’Impero
Incas, sulle Ande a 3400 mt sul livello del mare.


Cuzco e’ una bella città che conserva ancora una parte storica, intorno alla Plaza des Armas, con le
vie del centro ed i muri di molte abitazioni ancora in sasso originale, a secco.


Gli spagnoli a partire dal 1535, durante il saccheggio, distruzione, e la successiva ricostruzione
della città, avevano utilizzato gli enormi pietroni squadrati che gli Incas avevano utilizzato per le
mura di protezione della città stessa.


A ricordo dell’ Impero del Popolo del Sole resta la Porta del Sole, presente in tutte le città sacre e,
nei dintorni di Cuzco, e’ comunque possibile visitare moltissimi siti archeologici, ancora pressoché
intatti, dove si rimane stupiti dalle dimensioni dei massi utilizzati e della loro perfetta
squadratura.



Il giorno dopo, ancora un poco storditelli dal fuso orario e dall’altitudine, siamo già in marcia per
Machu Pichu, una delle 7 meraviglie della terra. Per raggiungerla é necessario prendere il bus per un paio d’ore, poi il treno che costeggia il fiume Sacro, l’ impetuoso, benché, ahimé, sporchissimo,
Urubamba ( Vilcanota), una delle mie mete canoistiche di questo viaggio, poi il micro-bus che dalla stazione di Aguas Calientes porta alla città di Machu Pichu, appunto.



La scoperta della citta’ sacra di Machu Pichu e’ relativamente recente (1911) e casuale, da parte dell’ americano Hiram Bingham.
Benché la foto della città sacra l’abbiamo vista centinaia di volte, trovarci qui e poterla vedere con i nostri occhi, fa veramente un certo effetto.




Ma più che le rovine in se’ quello che meraviglia e’ il contorno paesaggistico: la valle e’ strapiombante e molto verde (Machu Pichu é posta nel versante Amazzonico delle Ande), la città é costruita su un promontorio che si erge 1000 metri sopra il livello del fiume, dove lo stesso crea una grande ansa a clessidra dove, nel punto più stretto, e’ possibile vedere il fiume sui due lati, mentre di fronte si erge la punta verde e rocciosa del Huaina Pichu (il classico spuntone verde delle foto); in lontananza la sensazione di isolamento viene accentuata dai picchi innevati della cordigliera Vilcabamba, il luogo é davvero trascendente e mistico, gli Incas sapevano scegliere.



I terrazzamenti tipici degli Incas, dei veri maestri in questo campo, resistono, perfetti e
imperturbabili allo scorrere del tempo e meraviglia la dimensione e perfezione nella squadratura delle rocce che compongono la città e gli stessi muri a secco.


Peru…però c’e’ davvero un sacco di gente, ce lo aspettavamo forse più esclusivo, e iniziamo a fare qui la sgradita conoscenza con i mosquitos, piccoli e stronzissimi insetti, poco più grandi di un moscerino, che mordono peggio delle zanzare tigre e si presentano silenziosi e a nugoli.



La conoscenza si approfondirà molto nelle giornate che passeremo in fiume, tanto da farmi rinunciare al canyon del Rio Colca, dato che il prurito dei loro morsi e’ insopportabile e il pensiero di dormire in fiume senza tenda alla mercé di questi piccoli sanguinari non mi convince molto.



Come dice Giorgio Gaber “anche l’esploratore più spinto muore, dove gli può capitare, e neanche troppo convinto…”.
Vabbe’.


Insomma Machu Pichu da solo merita il viaggio in Perù. A me piace così tanto che ci faccio pure un pisolino all’ombra delle mura centenarie.

Non sto qui a raccontare la storia della città, quando é stata fondata da chi perché e come é venuta alla luce, primo per ragioni di spazio (Mauro mi uccide se scrivo troppo, ndr), secondo perché non voglio dare sfoggio della mia immensa cultura ritenendola patrimonio esclusivo dei miei cari…


Dopo la meritata pennica, girelliamo le rovine poi ci inerpichiamo per un tot verso il ponte Incas a strapiombo sulla valle sottostante.
Adesso é chiuso perché pare che qualche turista sia volato giù e sono 500 metri di burrone: non é bello, soprattutto se uno non ha le ali.



Dopo un po’ però ci stufiamo del turismo di massa e scendiamo giù al paesino, dove ci sdraiamo sul fiume, anche qui fatti oggetto di particolari e interessate attenzioni da parte dei mosquitos, per poi ripiegare nelle belle vie dell’amena stazione termale.


Il giorno dopo mi preparo per scendere il mio primo fiume peruviano, uno dei miei sogni della mia infanzia canoistica.


Questa volta non mi sono portato dietro la canoa perché la compagnia aerea Iberia non me l’avrebbe caricata, ma solo l’hydrospeed, il bob d’acqua a propulsione pinne, più leggero e mascherabile dentro un grande sacco.
La canoa la noleggerò per fare l’Apurimac, il Rio delle Amazzoni come viene chiamato in Perù



Insomma il giorno dopo prendiamo un taxi, che qui costa poco, e ci facciamo riportare al paese di
Urubamba, che da’ il nome al fiume. Mi cambio, mi faccio fotografare, mi preparo la telecamera per le riprese dal casco, ma l’ingresso in acqua e’ davvero una mazzata: il fiume, trovandosi al di sotto di Cuzco (500.000 abitanti), nella Valle Sacra, puzza in maniera terribile, ed e’ veramente sporco.
Ne percorro solo pochi km, veramente dispiaciuto, ma non mi va di rischiare una salmonella dopo due giorni di vacanza.
Amen.



Proseguiamo per la città sacra di Ollantaytambo che é, anche lei, come tutte del resto, meravigliosa, nella quale é bello girare per le vie della città nuova o camminare sulle terrazze di quella vecchia.
E poi mangiamo. Mangiamo che?
In Perù si mangia davvero bene: carne di mucca, lama, alpaca, pesce, zuppe di verdure ottime ed abbondanti, poca pasta, ma si può sopravvivere; soprattutto però, data la vicinanza con l’Amazzonia, verdura e frutta fresca e di ogni genere.



Per me che ne sono golosissimo, ci sono dei cetrioli enormi e saporitissimi e poi gli avocados, gli
ananas, e altri frutti dolcissimi che non conoscevo di cui non ricordo il nome.

A Ollantaytambo invece mangiamo le empanadas (lo “spizzico” tipico sudamericano) che sembrano sofficini
anche se le cuociono al forno e sono ripieni o di verdura o di formaggio o di carne.



Rientriamo facendo praticamente un rally perché il nostro autista pare abbia fretta, meno male che c’é poco traffico.
I tassisti come tutti i sudamericani del resto, sono chiacchieroni, molto cordiali e curiosi, vogliono
sapere tutto di te, della tua vita dell’Italia, del campionato di calcio e ti raccontano la loro. Molto
utile per imparare bene lo spagnolo e capire meglio un popolo diverso da noi.



Passiamo le due giornate successive girando sempre per la Valle Sacra e per Cuzco, avendo già
programmato la discesa, io in canoa, la Federica in gommone, della parte superiore dell’ Apurimac, il Rio delle amazzoni, il fiume più lungo del mondo secondo l’ultimo rilevamento (giugno 2007) effettuato da una squadra di geografi sudamericani:6800 km, contro i 6645 del Nilo.
Noi ne faremo 65, accontentiamoci.



L’Apurimac, un altro dei miei sogni canoistici, deve il suo nome alla composizione delle parole Quechua (la lingua originaria degli altopiani prima della dominazione spagnola) “Apu” = signore, “Rimac” = parlante, dovuto al fragore dell’acqua che rimbalza nelle pareti del suo canyon profondo in alcuni punti anche 2000 mt.


So che e’ un fiume molto difficile ed insidioso dove ci sono stati molti incidenti mortali (gli ultimi
l’anno scorso), ma penso che non dovremmo avere problemi. Sicuramente non io, almeno (…).


Però la promessa del paesaggio incontaminato e delle rocce levigate da millenni di erosione ci spingono
comunque a farlo e anche la Federica si convince. Lo percorreremo in tre giorni dove, fatica e
difficoltà’ a parte, verremo mangiati dai mosquitos.



In effetti quando leggevo i resoconti delle prime spedizioni in canoa dentro questo canyon (e’ stato percorso la prima volta nel 1976 da 4 canoisti americani), prima della difficoltà del fiume, i canoisti mettevano l’accento sulle punture dei mosquitos.
“E che saranno mai??” pensavo io… e bravo merlo.



Meno male che ci siamo portati dietro il l’ autan (sempre sia benedetto) che comunque evapora dopo un’ora e te ne accorgi nel momento in cui vieni aggredito dagli infami.




Ci imbarchiamo alle 2 di pomeriggio dopo un viaggio mozzafiato su strade sterrate strapiombanti, con un paesaggio incredibile.

L’imbarco e’ a 2500 mt/slm, ma la temperatura e’ buona e c’e’ poca umidità.
Ho noleggiato una canoa e Federica scende assieme a 5 ragazzi israeliani più una guida peruviana, Nesito, molto poco indios e molto piacente alle ragazze.



Ho brividi non dal freddo ma dalla meraviglia del fiume e del paesaggio: il letto e’ largo circa
100/150 metri, il canyon profondissimo e le rocce sembrano delle colate lucide di plastica, sono
talmente levigate da sembrare quasi innaturali.


Poi gli uccelli, i pappagalli, i colibrì, rapaci ovunque, anche i condor.
Facciamo il primo campo per la notte dopo una decina di km non troppo impegnativi.



Nonostante la temperatura lo consentirebbe non ci mettiamo a torso nudo, pena dover passare la notte a grattarci, ma nulla turba la nostra quiete.Il buio.

Siamo lontani decine di km dal primo insediamento umano e non c’é nemmeno la luna, il buio é totale e la stellata al calare delle tenebre, veramente unica e spettacolare.



E’ un abisso, mi sento piccolo piccolo e solo, ma é una sensazione piacevolissima e dormire sulla
sabbia é stupendo

Domani avremo le rapide più difficili, io non vedo l’ora, la Federica un po’ meno.


La mattina facciamo una colazione olimpica poi partiamo, dopo le prime rapide abbastanza impegnative ecco il primo anticipo dell’Abisso di Acobamba, come si chiama questo tratto di fiume.



Un masso grande come un palazzo ostruisce il corso del fiume, qui molto pendente, e l’acqua un po’ gli passa sotto (il pericolo più grande per un canoista: i sifoni) e un po’ si arrampica letteralmente sulla parete destra del canyon.



Questa rapida non si può percorrere, col gommone faticosamente trasbordano a sinistra e io pure, reimbarcandomi immediatamente a valle del masso.


Le pareti del canyon qui sono quasi arancioni e l’acqua del fiume verde smeraldo, con una netta
predominanza del bianco delle onde e dei rulli dell’acqua vorticosa.


Inizia qui una serie di rapide molto difficili e pericolose proprio per la presenza di grossi sifoni
che i locali chiamano “labirinto” teatro dei due incidenti mortali dello scorso anno.



Poi la difficile e fotografatissima “Purgatorio”, una vera tempesta di acqua bianca contornata da
pareti roccia gialla strapiombanti e levigate, terminante e ostruita da un masso grande come una casa che va accuratamente evitato e faticosamente trasbordato a destra. Poco dopo la confluenza con il Rio Vilcabamba, altro nome famoso nella storia della canoa se non altro perche’ durante la prima esplorazione canoistica da parte di un gruppo di inglesi, tra cui il mio amico Peter Knowles, nei primi anni 80, per aggirare una rapida infattibile avevano impiegato 7 giorni, terminando la discesa del fiume in 11 giorni invece che nei 4 previsti.



Grazie a questo cristallino affluente l’Apurimac raddoppia quasi la sua portata e, se possibile,
diventa ancora più bello tecnicamente.
La discesa prosegue molto bene, benché l’equipaggio sia un po’ stanco: la giornata e’ calda ma non c’e’ molto vento contrario cosa che favorisce l’avanzamento.



Dopo circa 9 ore e 25km di rapide ci fermiamo su una grande spiaggia bianca stupenda di fronte ad una parete alta quasi 200 metri, levigata dall’acqua e di colore giallo ocra. Su alcune cenge di roccia, a strapiombo sul fiume, piccoli alberi hanno trovato spazio per crescere e svilupparsi lasciando cadere all’aria aperta, verso l’acqua le radici, lunghe anche più di 20 metri

Poi piccole cascatelle, la cui acqua utilizziamo per bere.
Facciamo una cena abbondante e rigenerante (abbiamo tutto il materiale sul gommone e dentro la canoa) e poi dormiamo profondamente.


Il giorno successivo, l’ultimo che passeremo in fiume, nel primo pomeriggio vediamo i setacci dei cercatori d’oro peruviani, modello Zio Paperone nel Klondike, e capiamo che siamo vicini allo sbarco perché in tutto il resto del fiume il letto dello stesso e’ sempre irraggiungibile dall’esterno.


Ci sono ancora però rapide impegnative e due faticosi trasbordi, poi lo sbarco dove subiamo un attacco
frontale tipo Panzer Divisionen tedesche, da parte degli onnipresenti mosquitos.



Io ho vissuto questi due giorni come in un sogno: questo fiume rientra nei primi 5 piu’ belli (su 280) che abbia mai fatto assieme al Rio Maule in Cile, al Marsyangdi in Nepal, al Vecchio in Corsica e allo Snowy River in Australia. Vita di corsa.



Non facciamo a tempo a tornare a Cuzco che già siamo in partenza per Arequipa, nel sud del Peru, passando per Puno sul lago Titicaca il lago navigabile più alto al mondo, che io già conosco per averci pagaiato a lungo nel versante boliviano nel 2002.


Il viaggio che, guarda un po’, e’ stupendo dura 13 ore, pero’ e’ comodo e rilassante, nonostante si
svolga per la maggior parte al di sopra dei 4000 metri.



Arriviamo ad Arequipa verso le 21.00 e ce l’aspettavamo un po’ piu’ piccola: invece e’ una citta’
grossa e abbastanza caotica, pero’ sulla guida c’e’ scritto che e’ molto bella caratteristica,
vivibile, con un ottimo clima e, in ogni caso e’ il punto di partenza per le prossime mete: il canyon
del Colca che, causa mosquitos, non faro’ in canoa, ma mi limitero’ a visitarlo dall’alto; poi il canyon del Rio Majes e anche quello del Rio Chili.
Poi andremo a Pisco e alle isole Ballestas, passando per Nazca.
Ma questo poi.


Subito troviamo l’albergo, appena dopo andiamo a mangiare un pollo intero e una bella zuppa criolla, perché io muoio di fame.



Arequipa ha delle belle chiese e l’immancabile Plaza Des Armas molto grande e particolare, con 3 lati porticati ad archi.





Tutte o quasi le vecchie costruzioni del centro, cattedrale e Convento di Santa Catalina comprese, sono in pietra Sillar, una roccia molto particolare di colore chiaro che ricorda molto il travertino. Il giorno dopo il famoso paesaggio di Arequipa ci si presenta in tutta la sua maesta’, il vulcano Misti, di 5850 mt, il Pichu Pichu di 5570 e piu’ a sinistra il piu’ alto Cochani di
6075 mt.




Il primo giorno lo passiamo tra le terme e i monumenti in citta’, poi la notte successiva alle ore
01.30 am partiamo per il canyon del Colca e la valle del Fuego con la speranza di riuscire a vedere i condor.



Io ci credo poco, nonostante le insistenze dei locali. Penso che vedremo dei puntini alti nel cielo,
magari radiocomandati dalla pro-loco ad uso e consumo dei turisti pirla che non dormono la notte per vedere il piu’ grande rapace del mondo.




Quando alle 01.00 am suona la sveglia ,il primo pensiero e’:“Ma poi a me in fondo, ma in fondo in fondo, dei condor che me ne frega?
Tanto li ho gia’ visti in Cile da vicino…ho viaggiato io, tse’.”



Invece, maledetti peruviani (in senso buono), li vedo davvero, tanti e vicinissimi.
Il punto di osservazione e’ in un punto dove il canyon e’ profondo quasi 2000 mt; i grandi rapaci hanno il nido nel fondo del canyon e aspettano che l’aria si scaldi per farsi portare fuori dalla gola dalle correnti ascensionali.




Uno spettacolo, riesco a fotografarli persino dall’alto, e poi sono tanti, che emozione.
Lungo la strada, ancora terrazzamenti, splendidi villaggi, greggi di lama e alpaca e anche le vigogne che sono timidissime, vivono allo stato brado e non si lasciano avvicinare.


Ma e’ meglio che vada un po’ in fiume, se no che sono venuto a fare?
Autobus per Aplao, sul Rio Majes e poi taxi. Ma che taxi!!!



Una vecchia Dodge tipo Bo e Luke guidata da un, pardon, tonto che si chiama Gustavito che a meta’ strada verso la parte finale del Rio Colca che voglio scendere, si ferma e mi dice che non ha piu’ benzina.
Lo avrei ammazzato.


Faccio solo in Rio Majes con l’hydrospeed, con una incazzatura pari solo alla mia stanchezza.
Pero’ che valle!!! Che posto!!!
La valle e’ molto ampia e pendente, sul fondovalle il verde della vegetazione in corrispondenza del fiume, contrasta nettamente con l’aridita’ delle montagne sovrastanti, rosse, nere, maestose,
imponenti: il nervoso mi passa poco dopo e mi godo comunque la discesa.





La Fede mi aspetta ad Aplao, santa donna. Il giorno dopo ancora il Rio Chili, vicino ad Arequipa: fiume carino, abbastanza impegnativo dove pero’ con l’hydro prendo un colpo tremendo alla coscia e dopo qualche km devo uscire per il dolore





La sera il terremoto.
La mattina dopo appena arrivati a Nazca, ancora il terremoto.
Per fortuna, prima che si interrompano le comunicazioni riusciamo ad avvisare casa.



Pisco non esiste piu’, Paracas, punto di partenza per le isole Ballestas nemmeno, e’ un disastro
pazzesco. Non c’e’ nemmeno piu’ la strada per Lima.



Come detto nell’introduzione rimaniamo calmi e cerchiamo comunque di godere di quello che abbiamo, la vita innanzitutto.



Nazca e’ famosa per le linee che si vedono solo dall’aereo disegnate nel deserto e sono effettivamente
inquietanti, nessuno scienziato, antropologo, archeologo e’ ancora riuscito a dare una spiegazione
convincente del loro significato.



Dal basso, dal terreno, non si vede nulla, solo profondi solchi nella sabbia, le figure sono 70,
l’astronauta, il colibri’, il condor, il cane, la scimmia, l’albero quelle piu’ evidenti e grandi, ma
quelle che stupiscono di piu’ sono i triangoli, che sembrano piste di atterraggio.


Rimaniamo a Nazca finche’ non ci dicono che i collegamenti con Lima sono stati ripristinati




Cercare di rientrare subito nella capitale come hanno fatto molti turisti presi dal panico, non avrebbe avuto nessun senso.



Il viaggio e’ brutto, ma non per il paesaggio, ma per quello che vediamo essere stata ladevastazione causata dal sisma.


Centinaia di persone in fila sulla strada con bottiglie e taniche in mano in attesa delle cisterne,
gente che scava nelle macerie, rovine ovunque, gente accampata nelle rovine di quella che era la loro casa, funerali, la strada, i ponti che non esistono piu’.




E gli aiuti umanitari?
Noi li abbiamo visti solo a Lima, molti e molta gente coinvolta nella raccolta di cibo, acqua, vestiti,
ma nelle zone colpite no.


testo e foto tratto da http://www.valtaro.it/

Il racconto è le foto sono di Roberto Chilosi