Tasmania: il valtarese Roberto Chilosi ci racconta, con immagini e ricordi, la sua esperienza estrema, la sua sfida con se stesso e con le forze della natura, in canoa e in gommone, lungo il Franklin River; il fiume che ha una triste fama, per l'altissimo numero di canoisti inghiottiti, per sempre, dalle sue acque .

Testo e foto di Roberto Chilosi
THUNDERUSH, Hobart, Tasmania, novembre 2001

Stanotte ci siamo inzuppati, l’umore e’ nero e non siamo neanche a metà della gola, stiamo entrando nel punto più profondo, nel punto di non ritorno, tutto intorno le rocce strapiombanti e la foresta impenetrabile, lussureggiante, migliaia di cascatelle che precipitano dai bordi verso il fiume che e’ marrone, che e’ sempre più grosso.

Josh dice anche 15 metri.
Stiamo per arrivare a Thunderush, dopo che abbiamo dormito in prossimità di Coruscades il cui trasbordo ieri sera ci ha impegnato per più di due ore, in mezzo al fango, in mezzo alle sanguisughe, col fiume che continuamente saliva, la pioggia incessante, a tratti la grandine e un freddo tremendo, considerato il nostro abbigliamento.

Sarebbe stato un grosso problema, considerato il loro carattere, noi siamo più preparati a queste emergenze, a queste situazioni assurde dove ti devi conquistare ogni metro in avanti e ogni secondo successivo della tua vita.

Josh Waterson, 22 anni, australiano, la nostra guida sul Franklyn River, dove ci troviamo, fiume che lui, con clienti, ha già disceso 8 volte, ottima guida rafting, canoista e persona eccezionale.
Matteo Galimberti, 26 anni di Monza, prima esperienza internazionale, ottimo canoista, persona eccezionale e positiva.
Donatella Gabbanini, la mia compagna, 42 anni, unica donna italiana ad aver pagaiato nei 5 continenti, molto forte fisicamente e psicologicamente.
Io, Roberto Chilosi 35 anni, ottimo canoista e grande esperienza internazionale.

Il gommone condotto da Josh e Donatella pesa quasi 500 kg, che raddoppiano a fine rapida quando si riempie d’acqua, prima che uno di loro due lo svuoti col secchio.
Siamo sul Franklyn River, uno dei fiumi più belli ed isolati della terra, ma anche uno dei più mortalmente insidiosi a dispetto delle sue relative difficoltà tecniche.

Siamo in navigazione da 5 giorni anche se adesso siamo alla gola più difficile, la Great Ravine.
Speravamo nella clemenza del tempo, almeno in questo tratto di fiume, ma come era prevedibile e’ iniziato a piovere a dirotto la sera prima dell’ingresso nella gola.

Il fiume e’ stupendo, soprattutto il contorno paesaggistico e’ da togliere il respiro e sono frequenti gli incontri con gli ornitorinchi e i diavoli della Tasmania che, a dispetto della loro fama, sono timidissimi e fuggono appena avvistati.
La foresta e’ verdissima, impenetrabile, umida, in alcuni punti crea una volta verde che forma come una galleria entro cui scorre il fiume.

Il principe di questo fiume, la cui area e’ stata nominata Patrimonio dell’Umanita’ dall’UNESCO, e’ l’Houn Pine, l’organismo vivente più longevo della terra, un pino alto, di forma più simile al cipresso che ad un classico pino, caratterizzato dall’ estrema durezza e resinosità del suo tronco, cosa che lo ha reso ideale, ai primi del novecento, per la costruzione di imbarcazioni marine, data l’immarcesciblità del suo legno, e che ne ha quasi causato la sua estinzione.
Per quasi 50 anni, squadre di “piner”, come venivano chiamati i taglialegna, risalivano il fiume da Strahan, remando controcorrente e trascinando da riva, per mezzo di funi, le pesanti barche fino a News Holland Cascades, proseguendo poi faticosamente nella foresta, tagliando i pini e lasciando che fosse poi la corrente a trascinarli a valle.

Questo fiume, a dispetto della sua bellezza, ha un triste primato: e’ probabilmente il fiume con il maggior numero di morti per sport acquatici

Numerosi sono stati i casi di dispersi nel tentativo di raggiungere la strada e poi morti di fame e stenti.
Bisogna avvicinarsi a questo fiume con molta cautela e prudenza, sapendo a cosa si potrebbe andare incontro, considerata soprattutto la variabilità delle condizioni atmosferiche e le piene improvvise.

Great Ravine, la gola, e‘ lunga 7 km, durante i quali, col livello alto dell’acqua, le rapide non si possono percorrere e i trasbordi non si possono effettuare sul livello del fiume, ma bisogna aggirarle dall’alto, compiendo delle vere e proprie scivolosissime scalate, lungo le pareti della gola e nella foresta soprastante.
Ieri abbiamo avuto i primi due assaggi, il primo terribile, condito dalla grandine, The Churn, l’ingresso della gola: una serie di salti, impraticabili che ci hanno costretto ad un pericoloso e sfinente trasbordo sulla sinistra orografica.

Abbiamo dovuto calare Josh dall’alto, improvvisando un imbraco, che poi e’ saltato sul gommone e ha tagliato la fune imprigionata sotto una roccia.
Non si sta in piedi, le rocce sono scivolosissime e non abbiamo l’abbigliamento adatto; pensavamo che in Australia facesse caldo, e in Tasmania pure.
Io ho la giacca leggera, la muta corta e i sandali, Matteo non ha le scarpe.



E, in quei momenti, speri di dover pensare solo a te stesso perchè ce ne e’ già abbastanza, perchè temi già a sufficienza per la tua incolumita’.

Ieri sulle rocce scivolose, considerate le condizione delle sue ginocchia pluri operate, era in difficoltà e non le abbiamo permesso di portare dei carichi.
Sono un po’ agitato anche per Matteo che e’ al suo primo viaggio, che si sta prodigando e lavorando per 4 persone, ma che a volte e’ troppo irruento, non vorrei gli capitasse qualcosa.

Almeno 5 viaggi a testa, immersi letteralmente nelle felci, alcune alte anche 10 mt, molto simili a delle palme, sotto le cui foglie regnano incontrastate le regine della foresta: le sanguisughe, onnipresenti, appiccicose, subdole.
Anellidi infami e traditori, indolori, ma inesorabili, vera calamità per le mie gambe nude e per ogni porzione scoperta della nostra pelle.

La seconda parte di The Churn era praticabile in canoa e io l’ho percorsa.
Poi un tratto piatto di circa 1 km, poi Coruscades che subito ci e’ sembrata impraticabile, dove subito abbiamo anche capito che il trasbordo sarebbe stato inumano e che avremmo dovuto sgonfiare il gommone ripiegarlo, portarlo a mano e rigonfiarlo, per passare oltre. Delirio di fatica e bestemmie.

Donatella ha riposato poco, e’ agitata, anche se ieri sera, l’aria, nonostante tutto era abbastanza rilassata: abbiamo ancora un po’ di scorta di vino rosso che in questi casi aiuta a veder tutto più roseo…
Anch’io ho dormito poco, anche perchè il frastuono della pioggia sul telo e il boato della rapida sottostante era un concerto di musica rock.
Il momento peggiore della giornata, in queste giornate fredde e piovose, e’ comunque il mattino, quando devi rimetterti la muta bagnata del giorno prima e impieghi 10 lunghissimi minuti per entrare in temperatura, ammesso e non concesso di riuscirci.

Impieghi 1 ora per riporre tutto dentro le sacche stagne che DEVONO essere ben chiuse, pena vivere zuppi tutto il viaggio, e la successiva, razionale e sicura legatura delle stesse sul gommone, cosa ancora più importante che potrebbe causare, in caso di ribaltamento, la perdita di tutto il materiale.
Ergo devi essere concentrato anche se sei stanco, anche se sei agitato, anche se sei stufo della pioggia.
Queste cose banali spesso costituiscono il sottile filo che separa un difficile viaggio da una tragedia.
Josh e Donatella si sono imbarcati a valle dell’ultimo saltino, mentre io li fotografavo con lo sfondo della rapida imponente alle loro spalle; io ne ho percorsa un tratto, imbarcandomi proprio sopra il saltino dove sono morti molti canoisti e rafter, perchè con l’acqua bassa, alla base del salto, e’ incastrato e poco visibile un enorme tronco di Huon Pine che crea un pericoloso colino semi sommerso.

Thunderush.
Che nome: un nome un programma, non me la scorderò mai.
Arriviamo poco dopo esserci imbarcati e subito ci accorgiamo che la rapida e’ obbligata, non si può trasbordare e diluvia sempre più forte, con un concerto terribile di tuoni e fulmini.
Non ci sono ripari e il fiume sale, sale così in fretta che la prima parte che abbiamo trasbordato facendo scivolare il gommone sulla roccia, adesso e’ praticabile in canoa

Non possiamo salire nella foresta da questo lato del fiume (siamo a sinistra).
A un primo sguardo, non possiamo nemmeno praticare la rapida, lunghissima, in curva, con una pendenza esagerata, un grosso buco a destra, un enorme e vorace sifone a sinistra, poi acqua bianca in pendenza per centinaia di metri, poi, così ci dice Josh, solo poca acqua piatta e poi The Coulderon, impraticabile e pericolosissimo.
Siamo bloccati e continua a piovere.
Donatella piange.
Sono scioccato perchè e’ la prima volta che succede, non l’avevo mai vista piangere, in nessuna occasione, e’ una donna forte e volitiva che tradisce poche emozioni

Io sono diviso tra la ricerca delle soluzioni possibili e il consolare Donatella, forse ho paura, forse no, sicuramente non per me però.
A lei non deve capitare nulla e io in ogni caso so che in canoa la rapida la posso fare e se dovessimo farla in gommone, la mia abilità come nuotatore, dovessimo ribaltarci, mi porterebbe comunque a riva.
Però ho paura per lei, e ho paura anche per Matteo perchè anche se in canoa e’ davvero forte, non so come si comporterà in una situazione del genere.

Ci sarebbe un passaggio nella foresta, sul lato opposto del fiume, ma come ci arriviamo sul lato opposto?
Sono le 10 del mattino ma e’ buio come se fosse notte, sembra che gli elementi si accaniscono contro di noi.
Esistono veramente poche alternative: o aspettiamo, anche qualche giorno, che il fiume scenda o facciamo la rapida.

Dobbiamo fare la rapida, ma decidiamo di caricare le due canoe sul gommone perchè Josh e Donatella da soli non riuscirebbero mai a fare la manovra di ingresso nella grande curva a destra e, se devo aiutare Donatella riuscirò a farlo meglio se sono sul gommone con lei.

La manovra di ingresso e’ difficilissima, dobbiamo traghettare per quanto possibile in retro, cercare di guadagnare il centro del fiume poi sterzare velocemente a destra per disporre il gommone con la punta già verso l’uscita della curva (manovra in negativo, per i più esperti), poi pagaiare in avanti a tutta forza, sperando di evitare l’enorme sifone e di riuscire a sfondare l’enorme buco alla base del primo salto.

Tutto molto facile a dirsi, ma la velocità dell’acqua e’ tale, e la parete con sifone così vicina, che penso che sarà impossibile non finirci dentro.
Il traghetto in retro, poi, col gommone carico e’ pura utopia.
Confido però nella nostra tecnica e forza della disperazione.
Leghiamo le canoe e ripassiamo a memoria le manovre chiave che dovremo fare e anche il cosa fare se…

Josh, a dispetto della sua giovane eta’, ha una esperienza e una tranquillità invidiabili, anche se, oggi, anche lui ha dei pensieri oscuri, perchè non ha ancora detto un solo “fantastic!”, cosa che normalmente ripete continuamente.
Mimiamo la manovra di ingresso in corrente, il gommone lo guiderà Josh, io e Matteo rispettivamente primo di destra e sinistra, Donatella dietro di me.

Lasciamo che la morta in cui ci siamo imbarcati, vorticosa, ci porti leggermente a monte e poi, un urlo: BACK, INDIETRO, FORZA.
Il gommone scoda, la coda si immerge, come temevo, la corrente ci spinge avanti, prima che riusciamo a guadagnare il centro del fiume e ci spinge a tutta velocità verso l’esterno della curva che invece volevamo tagliare, verso il sifone.
Josh, gira il gommone, RIGHT BACK! DESTRA INDIETRO!
Un colpo secco io e Donatella a destra indietro e Matteo a pari forza in avanti, Josh timona , la punta gira subito.

LEFT BACK! SINISTRA INDIETRO!
Matteo e Josh si dannano sulle pagaie, piegandole, nel tentativo di fare perno e far ruotare la punta a sinistra, mentre io e Donatella, al contrario stiamo pagaiando in avanti, con tutte le energie che abbiamo.

Il peggio e’ passato adesso dobbiamo solo sfondare di prua i prossimi buchi, che sono enormi, ma per me e’ finito, il pericolo era la curva, siamo pieni d’acqua e non c’e’ pericolo che qualche buco/rullo possa trattenerci, il problema così pesanti sarà semmai fermarci.
Sulla soglia dell’ultimo buco il gommone parte in una improvvisa rotazione e scarroccia verso il lato opposto a quello in cui dobbiamo fermarci, a sinistra.
Ma e’ fatta.

Urliamo per la gioia, per lo scampato pericolo, mentre tutto intorno il diluvio continua, senza tregua, incessante, gocce d’acqua e grandine come tanti spilli che ti pungono le mani, la faccia, le gambe, ma non importa, siamo vivi, siamo insieme, siamo qui.
Lo spettacolo della rapida dietro di noi e’ monumentale, sembra quasi impossibile avercela fatta ed essere passati indenni.
Battiamo cinque, il cuore rallenta, l’esaltazione lascia comunque spazio a quello che abbiamo davanti, la morta successiva che non dobbiamo sbagliare.
Traghettiamo sulla sinistra ed entriamo in morta con buon anticipo per non rischiare, il fiume letteralmente scompare sotto di noi, The Coulderon, forse una delle rapide


La rapida dove muore il protagonista di “Death of a river guide” uno stupendo libro, ambientato su questo fiume, dello scrittore tasmaniano R. Flanagan.
Ad una prima occhiata si prospetta un altro trasbordo ai confini della realta’, e non riusciamo nemmeno a capire quanto dovremo inerpicarci su per la parete prima di riuscire ad effettuare il traverso per poi scendere al fiume.
Dobbiamo capitalizzare ogni passo e non fare viaggi a vuoto, anche mentre andiamo in avanscoperta, comunque portiamo con noi del materiale.

Il sentiero, se così si può chiamare, sale per circa 100 mt di dislivello in verticale e pi scende in diagonale su strapiombo fino al fiume ed e’ molto scivoloso.
Inizia il trasporto, per fortuna smette di piovere, decideremo se sgonfiare il gommone solo alla fine del trasbordo di tutto il materiale, sperando magari in un lieve calo del livello dell’acqua, che ci consentirebbe di far passare il gommone via fiume.
Prima le sacche stagne con i vestiti, poi gli ammokeen in metallo con le stoviglie, poi, terribili e scomodi, i bidoni blu della roba da mangiare.


Immediatamente approntiamo una corda per tirarlo su.
Matteo si cala e lo aiuta a risalire, la sua macchina fotografica e’ incredibilmente appesa ad un ramo metri più sotto e, per recuperarla, impiegheremo quasi un’ora.
Qualcuno lo ha voluto premiare per la sua coscienza ecologica, io forse avrei lasciato andare la latrina.
Dopo quasi tre ore tutto il materiale e’ a valle, tranne il gommone e due pagaie, non piove più, il fiume ha smesso di salire e possiamo tentare il trasbordo sulla cengia di roccia a destra.
Josh e Matteo staranno sul gommone che andrà prima calato poi guidato nella seconda parte della rapida, io e Donatella a valle, sul terrazzino di roccia che ci farà da campo stanotte, con le corde pronte a fermare gommone e occupanti in caso di problemi: se dovessero mancare la fermata rimarremmo isolati, perchè da questa gola si può uscire solo via fiume.
Predisponiamo tutto con cura: il problema più grosso sono le rocce scivolose e la potenza dell’acqua nella seconda parte della rapida.

Torno a valle, e mi preparo con le corde: mi sono imbragato ad un albero con una corda da 20 metri e ne ho una in mano da 25; Donatella ne ha una in mano da 25 ed e’ saldamente piazzata con le gambe.
Josh e Matteo calano il gommone, faticando a trovare l’equilibrio sulla lastra scivolosa, fissano un cordino alla coda e lo posano in acqua.

Matteo salta al volo dentro e prende la pagaia, Josh lo imita ma non riesce a liberare il cordino che si e’ incastrato in una fessura della roccia: il gommone si riempie, scompare sott’acqua in un attimo, Matteo e’ sotto fino alla cintura, Josh impugna il coltello e taglia il cordino e il gommone schizza letteralmente in avanti, verso destra, verso la nicchia.

Matteo cade, ma non se ne accorge neppure perchè continua a pagaiare come se fosse ancora sul gommone, Donatella lo recupera con la corda; Josh, pagaiando a tutta forza col gommone che ruota su se stesso, riesce ad arrivare a tiro della mia corda che lo raggiunge e che subito lui fissa alla corda perimetrale del gommone stesso.

Ricomincia a piovere, la giornata e’ stata infernale, abbiamo percorso solo 2 km rispetto ai 5 previsti, ma adesso siamo tranquilli, il peggio e’ passato, le prossime rapide comunque saranno più semplici, così dice Josh

Domattina Josh se ne troverà una attaccata ai santissimi.
La mattina dopo siamo a pezzi, però siamo rinfrancati dal fatto che non piove più e che oggi dovremmo riuscire ad uscire dalla gola.
Fa un freddo terribile, la temperatura e’ sotto zero, e mettersi la muta gelata e scrocchiante dal ghiaccio non e’ un’esperienza indimenticabile.

Dopo circa 1 km di rapide discrete, una bella rapida in curva con un enorme buco in mezzo che dobbiamo trasbordare col gommone sulle scivolose rocce del lato sinistro, ma nulla in confronto alla fatica di ieri.

Il “Porco in Mezzo” e’ un roccione enorme che divide il fiume in due rami, dopo una serie di grosse onde e rulli che spingono, naturalmente, verso il ramo impraticabile.
In canoa e’ fattibile, anche se molto rischiosa, in gommone assolutamente no.
Il posto e’ da favola, grossi Huon contornano la rapida, e enormi felci, in mezzo ad un trionfo di muschio, piccoli rigagnoli che scendono dalle pendici della parete rocciosa fin dentro la foresta, poi erica, sandalo, un paradiso verde.
Decidiamo per il trasbordo sul lato destro, che ci impegnera’, solo per il materiale, quasi tre ore, faticose, sugli enormi e scivolosi massi scomposti e dentro la foresta.

La battaglia, perchè proprio di quella si era trattato, era andata avanti per anni e aveva coinvolto migliaia di australiani gelosi del loro fiume e assolutamente coalizzati contro l’Enel locale.

E questo e’ stato anche però causa di molti degli incidenti che si sono verificati qui, perchè in molti, alcuni in maniera veramente superficiale, hanno tentato la discesa del fiume, il cui tratto navigabile e’ di 134 km, spesso rimanendo vittima dei sifoni, dei grossi rulli, dei tronchi di Huon incastrati, o anche morti di fame e freddo e i relitti dei gommoni, delle canoe e delle pagaie degli incidenti sono ancora visibili lungo il corso del fiume


E’ dura la vita: optiamo per legare il gommone in punta e coda con Josh che lo timonerà cercando di tenerlo verso il lato destro del fiume, fino alla soglia sull’ultimo salto, dove, speriamo riuscirà a scendere.
Io terrò la corda a monte, Matteo a valle.
Fissiamo le corde a degli alberi per avere più frizione per essere certi che le corde stesse non ci sfuggano di mano, o ce le taglino, se il gommone dovesse prendere la traiettoria verso il massone centrale.

Tutto riesce alla perfezione e dopo una mezz’ora siamo pronti a riprendere la navigazione, ma solo dopo aver abbondantemente fotografato Rock Island Bend.

Dovremmo fermarci ad ispezionarla perchè con questo livello, Josh dice che il buco finale e’ abbastanza pericoloso.
Dovremmo, dovrebbero soprattutto Josh e Donatella in gommone, ma basta un attimo di distrazione che perdono la morta a destra, e iniziano a scendere a vista.




Mentre scarichiamo tutto il materiale dalla barca in attesa della Jeep che ci riportera’ ad Hobart, la capitale della Tasmania, un vecchio pescatore che insensibile alla pioggia e al vento sferzanti, pesca con la sua canna dal molo, età approssimativa 70/75 anni, il volto simpatico e scavato da centinaia di rughe, la pelle bruciata dal sale e dal sole, ci chiede cosa facciamo, dove andiamo, masticando tabacco e le parole.

Non possiamo neanche iniziare a parlare che, guardando verso il fiume, si incupisce, allunga il braccio verso monte e, con lo sguardo improvvisamente perso e triste ci intima “Don’t go there. Don’t go there. This river will kill you”. (Non andate la’ non andate la’, questo fiume vi ucciderà).
ma sono veramente meravigliose!!!! un sogno!!! io sono un tipo tranquillo... amo l'avventura...ma questa..è un po troppo... rischiosa x me.... ma se fossi un po più... giovane..Mmmmm... partirei subitoooo....
RispondiElimina